Di me sarete testimoni

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Quella del 23 ottobre è una domenica che invita la comunità dei fedeli a riflettere sulla preghiera di due uomini al tempio. Madre Teresa di Calcutta diceva che la preghiera è un approfondimento della fede. La nostra preghiera rivela a quale Dio ci rivolgiamo e in quale Dio crediamo. Il Vangelo (Lc 18,9-14) ci parla di due uomini in preghiera per indicare che ci sono due tipi di Dio: l’io e Dio. Da una parte il dio, gli dèi che ci inventiamo noi con la nostra fantasia, i nostri desideri, gli aspetti materiali che spesso prendono il sopravvento nella nostra vita stravolgendo la scala dei valori e facendoci perdere di vista il senso della nostra vita e il sensum fidei; dall’altra Dio, Colui che si rivela all’uomo. È quello che rivela l’uomo all’uomo, perché è un “tu” in cui l’io si rispecchia, si riconosce amato e amabile, con cui c’è possibilità d’incontro vero, e non di narcisismo.

In questa parabola, Gesù ha l’audacia di denunciare che la preghiera può separarci da Dio, può renderci “atei”, mettendoci in relazione con un Dio che non esiste, che è solo una proiezione di noi stessi. Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci porta a sbagliare su tutto, sull’uomo, su noi stessi, sulla storia, sul mondo. Il pubblicano, grumo di umanità curva in fondo al tempio, ci insegna a non sbagliarci su Dio e su noi: fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore».

Mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che egli fa per Dio (io prego, pago, digiuno…), il pubblicano la costruisce attorno a quello che Dio fa per lui e si crea il contatto, l’incontro: un io e un tu entrano in relazione, qualcosa va e viene tra il fondo del cuore e il fondo del cielo. Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, cioè perdonato non perché migliore o più umile del fariseo, ma perché si era aperto alla misericordia, a questa straordinaria “debolezza” di Dio che è la sua unica onnipotenza, la sola forza che ripartorisce in noi la vita.

Prima di tutto il fariseo era un religioso pieno di zelo, troppo pieno. L’elenco che fa nella sua preghiera, di fronte a Dio, è corretto: per zelo il fariseo paga la decima parte dei suoi introiti. Digiuna due volte a settimana più del previsto. È talmente pieno della sua scintillante identità spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo ego che Dio non sa proprio dove mettersi. Si può dire che Il fariseo di oggi può essere altrettanto pieno delle sue devozioni, diventate piccoli idoli.

D’altronde, il fariseo non si confronta con il bel progetto che Dio ha su di lui. Si confronta piuttosto con quel pubblicano, lì in fondo, che non dovrebbe neanche permettersi di entrare in chiesa. Gran parte della nostra vita si gioca in questo modo: siamo colmi di giudizio, di invidie, di opinioni. Sempre pronti a confrontarci con chi sta peggio di noi, con chi è peggiore. Dovremo confrontarci con il capolavoro che potremmo diventare che ritroviamo solo in Dio che sa rivelare l’uomo all’uomo.

Il pubblicano, invece, di spazio ne ha tanto. Il denaro che ha guadagnato, spesso anche con disonestà, l’impressione di avere fallito le sue scelte, creano un vuoto dentro di lui, un vuoto che Dio saprà riempire. Consapevole dei suoi limiti, li affida al Signore, chiede con verità e dolore, che Dio lo perdoni, lo sani e da lì rinasce.

«Di me sarete testimoni» ecco l’invito di papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale che celebriamo in questa domenica. Solo e sempre in cammino di conversione saremo “Vite che parlano” di Gesù salvatore, di Dio misericordioso per essere in grado di cambiare la faccia della terra.

Foto di Claudia da Pixabay